martedì 7 agosto 2018

Primo passo per una "Silk road" made in Usa?

Nei documenti rilasciati in materia di sicurezza l'amministrazione Trump ha individuato nella Cina il proprio principale "avversario strategico", facendo un chiaro riferimento al possibile aumento di influenza determinato dai rapporti economici sviluppati nell'ambito della Belt and Road Initiative. L'attenzione riservata dall'amministrazione Trump al concetto di "Indo Pacifico" è  indicativa proprio di una politica di rilancio della presenza Usa in una vasta area che va dall'India al Giappone attraverso un maggiore coordinamento militare proprio con Giappone, India e Australia e la messa in campo di una risposta economica, nel delicato settore infrastrutturale, all'imponente Bri cinese.

Il segretario di Stato Mike Pompeo, alla vigilia del suo viaggio asiatico in Malesia, Singapore e Indonesia (tutti Paesi di fatto inseriti nell'iniziativa cinese) mentre ribadiva come "l'Indo-Pacifico, che si estende dalla costa occidentale degli Stati Uniti alla costa occidentale dell'India, è un argomento
di grande importanza per la politica estera americana", ha anticipato un primo piano di investimenti di 113milioni di dollari come primo acconto "di una nuova era dell'impegno economico degli Stati Uniti verso la pace e la prosperità nella regione dell'Indo-Pacifico". Nello specifico i fondi sarebbero così ripartiti: un investimento iniziale di 25 milioni sarà destinato a migliorare la connettività digitale dei paesi partner per sostenere le esportazioni tecnologiche statunitensi; circa 50 milioni saranno stanziati per la gestione delle risorse energetiche, e 30 milioni a sostegno di progetti infrastrutturali.
Gli investimenti annunciati, che vanno a costituire il pilastro economico della strategia dell'Indo-Pacifico, saranno in parte sostenuti dalla Overseas Private Investment Corporation (OPIC) che sarà fusa con un'ala dell'Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale per creare la USIDFC. Si tratta di cifre che ad oggi impallidiscono di fronte a quelle messe a disposizione da Pechino come gli oltre 60 miliardi di dollari solo per lo sviluppo del Corridoio economico Cina-Pakistan.

Per Karl Friedhoff (Chicago Council on Global Affairs) gli Usa hanno l'obbligo di rispondere sul terreno alla Belt and Road coordinandosi con iniziative simili intraprese da alleati storici come il Giappone e la Corea del Sud, ma l'attenzione più che sui progetti stradali o ferroviari (punto di forza dell'impegno cinese) deve essere indirizzata ai settori che permettono di ottenere simpatia e consenso tra le popolazioni locali: educazione, formazione, ospedali e servizi finanziari. La strategia è quindi quella di utilizzare la Belt and Road più che contrastarla: "Se gli Stati Uniti sono seriamente intenzionati a rimanere impegnati nel sud-est asiatico, devono proporre una nuova strategia. La Belt and Road dovrebbe servire come base per gli Stati Uniti e i suoi partner su cui agire e costruire. Se un concorrente strategico è disposto a spendere capitali per gettare le fondamenta, gli Stati Uniti dovrebbero incoraggiarlo. Poi, quando sarà il momento, dovranno schierare tutta la loro gamma di poteri nazionali per cooptare quell'investimento".

Le reazioni cinesi all'iniziativa, affidate ad un editoriale comparso sull'ufficiale Global Times, non fanno trasparire eccessive preoccupazioni: "Washington potrebbe sperare di interrompere l'iniziativa Belt and Road, ma è altamente improbabile che l'iniziativa di investimento da 113 milioni di dollari degli Stati Uniti entrerà in collisione con l'iniziativa Belt and Road. La regione indo-pacifica è troppo grande e molte élite occidentali hanno frainteso la natura dell'iniziativa Belt and Road, ritenendo che sia una strategia geopolitica da sfidare. Date le infrastrutture arretrate della regione indo-pacifica, i piani di sviluppo, non importa quanti, sono abbastanza lontani da soddisfarne i bisogni. Piani diversi non dovrebbero essere escludersi a vicenda. L'iniziativa Belt and Road è un piano di sviluppo aperto. Non si tratta di competizione, ma di una piattaforma per la cooperazione".

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