giovedì 30 agosto 2018

Bri e "trappola del debito": il caso Sri Lanka

Lo Sri Lanka è citato come chiaro esempio di come la Belt and Road, spingendo in una "trappola del debito" i Paesi coinvolti si riveli funzionale ad una strategia di controllo e dominio di Pechino. Il controllo del porto cingalse di Hambantota affidato alla China Merchants Port Holdings a causa della impossibilità di restituire i prestiti risponderebbe, perciò, ad una logica di espansione geopolitica e militare della Repubblica popolare. Ma siamo sicuri che sia l'esempio migliore? La fetta più grande del debito di Colombo è, infatti, precedente all'aumento dei prestiti provenienti da Pechino. Una porzione significativa del debito Sri - si legge in articolo della Nikkei Asia Review - proviene da prestiti agevolati provenienti da fonti finanziarie sia bilaterali che multilaterali, tra le quali la Cina è solo l'ultima arrivata. Il debito estero accumulato dal Paese è di circa 55 miliardi di dollari. I creditori cinesi detengono il 10% di questo totale, il Giappone il 12%, la Banca asiatica di sviluppo il 14% e la Banca mondiale l'11%.

sabato 18 agosto 2018

Recensione: La ”Belt and Road Initiative”, un sistema da comprendere


Il recente decollo politico, oltre che economico, della Cina ha portato la Repubblica Popolare a conseguire uno status di potenza e influenza internazionale senza precedenti nella sua storia recente ma ha anche, in un certo senso, sorpassato a più riprese qualsivoglia analisi e predizione degli studiosi che si sono approcciati alle dinamiche relative all’ascesa di questo fondamentale attore della scena mondiale.

Risulta doveroso uno studio completo delle ragioni del decollo cinese in seguito al lancio della “Politica di riforma ed apertura” di Deng Xiaoping sul finire degli Anni Settanta e, più di recente, della grande strategia con cui la leadership del Partito Comunista, oggi incarnata nel suo dominus Xi Jinping, sta programmando l’avanzamento mondiale di Pechino. Tale avanzamento si incentra su tre pietre miliari cronologiche: entro il 2021, centenario del Partito, è prevista la completa eradicazione della povertà rurale; per il 2035 il conseguimento di un livello adeguato di ricchezza per tutta la popolazione e la modernizzazione dell’apparato militare; per il 2049, centenario della Repubblica Popolare, la Cina punta a strutturarsi come “moderno e prospero Paese socialista” e a completare l’unificazione territoriale con il ritorno di Taiwan alla madrepatria.

La “Nuova via della seta”, in questo contesto, è la strada maestra che la Cina ha deciso di percorrere per raggiungere tali obiettivi. Il campo degli studiosi di politica internazionale italiani ha la fortuna di annoverare tra i suoi ranghi un autore che è riuscito a coprire nella sua analisi tanto le ragioni storiche della frenetica ascesa della Cina quanto le dinamiche intrinseche alla Belt and Road Initiative (Bri), Diego Angelo Bertozzi, 45enne bresciano collaboratore di Marx21. Bertozzi, di recente, ha aggiunto al suo notevole saggio Cina – Da sabbia informe a potenza globale il suo seguito naturale La Belt and Road Initiative – La Nuova via della seta e la Cina globale, che analizza dal punto di vista economico, geopolitico e strategico il centro di gravità della moderna azione cinese nel mondo.

Con la Belt and Road Initiative la Cina torna protagonista della Storia
Quello di Bertozzi è un saggio di notevole spessore, che unisce un approccio di ampio respiro alla Bri al costante mantenimento di un forte spirito critico: la “nuova globalizzazione” di matrice cinese è analizzata tanto nelle premesse quanto nelle implicazioni. Non mancano opportuni riferimenti alle manovre cinesi per lo sviluppo infrastrutturale euroasiatico e il rilancio della connettività tra Oriente e Occidente che, di fatto, è la cifra determinante del progetto.

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martedì 14 agosto 2018

Banconote e Belt and Road

Secondo un'inchiesta del South China Morning Post - ripresa poi dalla stampa internazionale - Pechino si sta imponendo come nuovo centro globale per la stampa di banconote di Paesi stranieri, scalzando un tradizionale oligopolio occidentale (Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania). La statale China Banknote Printing and Minting Corporation, con sede a Pechino, è al centro di questa produzione che riceve ordini soprattutto dai Paesi che collaborano con la Belt and Road Initiative.


Si tratta di un altro - l'ennesimo - segnale della scalata cinese nell'influenza globale perché, come sottolinea lo studioso Hu Xingdou (Università di Pechino), indica una forte fiducia nei confronti del Paese in un settore assai delicato per la sovranità e la sicurezza nazionale ("La valuta è un simbolo della sovranità di un paese. Questo business aiuta a costruire fiducia e anche alleanze monetarie").

Basti pensare a quanto successo alla Libia di Gheddafi, vittima del "regime change" sostenuto dalla Nato: il governo britannico sequestrò dinari libici per un valore in dollari di quasi 1,5 miliardi stampati dalla azienda De La Rue, causando gravi carenze di liquidità che hanno aumentato la pressione sul regime.




martedì 7 agosto 2018

Primo passo per una "Silk road" made in Usa?

Nei documenti rilasciati in materia di sicurezza l'amministrazione Trump ha individuato nella Cina il proprio principale "avversario strategico", facendo un chiaro riferimento al possibile aumento di influenza determinato dai rapporti economici sviluppati nell'ambito della Belt and Road Initiative. L'attenzione riservata dall'amministrazione Trump al concetto di "Indo Pacifico" è  indicativa proprio di una politica di rilancio della presenza Usa in una vasta area che va dall'India al Giappone attraverso un maggiore coordinamento militare proprio con Giappone, India e Australia e la messa in campo di una risposta economica, nel delicato settore infrastrutturale, all'imponente Bri cinese.

Il segretario di Stato Mike Pompeo, alla vigilia del suo viaggio asiatico in Malesia, Singapore e Indonesia (tutti Paesi di fatto inseriti nell'iniziativa cinese) mentre ribadiva come "l'Indo-Pacifico, che si estende dalla costa occidentale degli Stati Uniti alla costa occidentale dell'India, è un argomento
di grande importanza per la politica estera americana", ha anticipato un primo piano di investimenti di 113milioni di dollari come primo acconto "di una nuova era dell'impegno economico degli Stati Uniti verso la pace e la prosperità nella regione dell'Indo-Pacifico". Nello specifico i fondi sarebbero così ripartiti: un investimento iniziale di 25 milioni sarà destinato a migliorare la connettività digitale dei paesi partner per sostenere le esportazioni tecnologiche statunitensi; circa 50 milioni saranno stanziati per la gestione delle risorse energetiche, e 30 milioni a sostegno di progetti infrastrutturali.
Gli investimenti annunciati, che vanno a costituire il pilastro economico della strategia dell'Indo-Pacifico, saranno in parte sostenuti dalla Overseas Private Investment Corporation (OPIC) che sarà fusa con un'ala dell'Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale per creare la USIDFC. Si tratta di cifre che ad oggi impallidiscono di fronte a quelle messe a disposizione da Pechino come gli oltre 60 miliardi di dollari solo per lo sviluppo del Corridoio economico Cina-Pakistan.

Per Karl Friedhoff (Chicago Council on Global Affairs) gli Usa hanno l'obbligo di rispondere sul terreno alla Belt and Road coordinandosi con iniziative simili intraprese da alleati storici come il Giappone e la Corea del Sud, ma l'attenzione più che sui progetti stradali o ferroviari (punto di forza dell'impegno cinese) deve essere indirizzata ai settori che permettono di ottenere simpatia e consenso tra le popolazioni locali: educazione, formazione, ospedali e servizi finanziari. La strategia è quindi quella di utilizzare la Belt and Road più che contrastarla: "Se gli Stati Uniti sono seriamente intenzionati a rimanere impegnati nel sud-est asiatico, devono proporre una nuova strategia. La Belt and Road dovrebbe servire come base per gli Stati Uniti e i suoi partner su cui agire e costruire. Se un concorrente strategico è disposto a spendere capitali per gettare le fondamenta, gli Stati Uniti dovrebbero incoraggiarlo. Poi, quando sarà il momento, dovranno schierare tutta la loro gamma di poteri nazionali per cooptare quell'investimento".

Le reazioni cinesi all'iniziativa, affidate ad un editoriale comparso sull'ufficiale Global Times, non fanno trasparire eccessive preoccupazioni: "Washington potrebbe sperare di interrompere l'iniziativa Belt and Road, ma è altamente improbabile che l'iniziativa di investimento da 113 milioni di dollari degli Stati Uniti entrerà in collisione con l'iniziativa Belt and Road. La regione indo-pacifica è troppo grande e molte élite occidentali hanno frainteso la natura dell'iniziativa Belt and Road, ritenendo che sia una strategia geopolitica da sfidare. Date le infrastrutture arretrate della regione indo-pacifica, i piani di sviluppo, non importa quanti, sono abbastanza lontani da soddisfarne i bisogni. Piani diversi non dovrebbero essere escludersi a vicenda. L'iniziativa Belt and Road è un piano di sviluppo aperto. Non si tratta di competizione, ma di una piattaforma per la cooperazione".

sabato 4 agosto 2018

Cina e Africa, un bene anche per l'Europa

Vi proponiamo un'interessante analisi dei recenti viaggi compiuti dal presidente cinese Xi Jinping in Senegal, Ruanda e Mauritius, nel corso dei quali sono stati sottoscritti accordi di collaborazione in ambito Belt and Road Initative.


Una risposta ai bisogni dell'Africa
"L'Africa sta vivendo una forte crescita economica e urbana. L'Africa è il continente in cui l'urbanizzazione cresce maggiormente a livello globale. Nel 2017, il Ruanda ha registrato un tasso di
crescita urbana del 5,6%! Inoltre, molti stati africani sono solo all'inizio del loro processo di urbanizzazione. Per far fronte alle carenze di alloggi e ai problemi ambientali legati all'urbanizzazione, l'Africa ha urgente bisogno di infrastrutture nei trasporti, nell'energia e nella gestione delle risorse. La volontà della Cina di partecipare alla costruzione di infrastrutture è molto apprezzata dagli stati africani".

Non solo Africa
"Il crescente potere di Pechino rafforzerà indubbiamente l'influenza delle aziende cinesi nel continente, ma questi progetti creeranno anche nuove opportunità per gli europei.
In primo luogo, lo sviluppo della "Belt and Road Initiative" sulle coste africane atlantiche potrebbe incrementare gli scambi con i porti europei. La riduzione delle barriere tariffarie e non tariffarie (uno degli obiettivi della BRI) associata allo sviluppo del trasporto interregionale in Africa può consentire l'emergere di un mercato africano meno frammentato a cui le imprese cinesi ed europee potranno accedere più facilmente. Inoltre, le nuove imprese e lo sviluppo di nuove infrastrutture in Africa creeranno nuove opportunità per i giovani africani, e questo potrebbe avere un impatto sull'emigrazione illegale in Europa".