Come già ho rilevato nel libro (con un capitoletto dedicato), la Cina popolare ha un rapporto particolare con Israele lungo le linee ed i tragitti della nuova via della seta.
Rapporto che coinvolge progetti strutturali (porti e ferrovie) e collaborazioni nell'alta tecnologia. Non può sorprende, quindi, che il segretario di Stato Usa Mike Pompeo richiami "all'ordine" uno storico alleato proprio mentre si surriscaldano i rapporti con Pechino che - bisogna ricordarlo - è già potenza mediterranea.
Questo articolo che vi propongo è un utile guida, nonché riassunto delle problematiche che caratterizzano questo intreccio.
Belt and Road Initiative Report
Il blog prende ispirazione, amplia e aggiorna i contenuti, i dati e le riflessioni contenute nel libro La nuova Via della seta. Il mondo che cambia e il ruolo dell'Italia nella Belt and Road Initiative (Diarkos, 2019) Per acquistare copie del libro o ricevere copie per recensioni scrivere a diegoangelo.bertozzi@gmail.com
martedì 26 maggio 2020
venerdì 16 agosto 2019
Trump, la Groenlandia. E sullo sfondo la Cina.
La richiesta di Trump di acquistare la Groenlandia è stata letta da stampa e tv come l'ennesima grossolana sparata dell'inquilino della Casa Bianca. E' fuor di dubbio che le modalità dell'annuncio prestino il fianco ad un simile atteggiamento, ma liquidarle con una risata sarebbe atteggiamento quanto mai da evitare. Trump va preso sul serio, perché seria (e pericolosa) è la sua politica estera, soprattutto per quanto riguarda il confronto sempre più minaccioso con la Cina popolare.
Ed è proprio questo il contesto che va tenuto presente: negli ultimi anni Pechino ha rivolto un crescente interesse nei confronti dell'Artico, definendosi «nazione prossima all'Artico» e integrando la regione polare nella Belt and Road, suscitando frequenti allarmi nelle stanze del Pentagono.
Nel 2017 il governo cinese ha pubblicato il libro bianco "China’s Arctic Policy". Pechino delinea in sostanza i fronti nel suo impegno artico, a partire proprio dalla “Polar Silk Road”, vale a dire la possibilità di sfruttare le vie marittime artiche, a causa del riscaldamento – la distesa di ghiaccio a settembre 2017 era inferiore del 25% rispetto alla media di fine estate 1981- 2010 – per raggiungere l’Europa in tempi più brevi e ricongiungersi con i corridoi ferroviari già esistenti. Inoltre la regione artica è ricca di risorse minerarie che ancora devono essere sfruttate e potrebbero rappresentare per Pechino una alternativa energetica alle rotte esistenti: secondo le stime dello US Geological Survey il 25% di risorse mondiali si concentra sotto i fondali dell’oceano Artico contando 375 miliardi di barili di greggio e 47,3 triliardi di metri cubi di gas; siamo oltre, quindi, le riserve di oro nero dell’Arabia Saudita e di gas del Qatar messi insieme.
Pechino guarda lontano come mostrano le considerazioni di Liu Pengfei, portavoce dell’Amministrazione cinese per la sicurezza marittima: «Ci saranno navi battenti bandiera cinese che percorreranno questa rotta in futuro. Una volta che sarà comunemente usata, cambierà radicalmente il trasporto marittimo globale e avrà una profonda influenza sul commercio internazionale, sull’economia mondiale, sui flussi di capitale e sullo sfruttamento delle risorse». Proprio la Groenlandia, in tempi recenti, è stata al centro dei tentativi di ingresso cinesi con il finanziamento (poi bloccato) di tre nuovi aeroporti.
La conclusione è semplice: il presidente Trump ha segnalato che si è aperto un altro fronte sul terreno del confronto con Pechino.
Diego Angelo Bertozzi
Ed è proprio questo il contesto che va tenuto presente: negli ultimi anni Pechino ha rivolto un crescente interesse nei confronti dell'Artico, definendosi «nazione prossima all'Artico» e integrando la regione polare nella Belt and Road, suscitando frequenti allarmi nelle stanze del Pentagono.
Nel 2017 il governo cinese ha pubblicato il libro bianco "China’s Arctic Policy". Pechino delinea in sostanza i fronti nel suo impegno artico, a partire proprio dalla “Polar Silk Road”, vale a dire la possibilità di sfruttare le vie marittime artiche, a causa del riscaldamento – la distesa di ghiaccio a settembre 2017 era inferiore del 25% rispetto alla media di fine estate 1981- 2010 – per raggiungere l’Europa in tempi più brevi e ricongiungersi con i corridoi ferroviari già esistenti. Inoltre la regione artica è ricca di risorse minerarie che ancora devono essere sfruttate e potrebbero rappresentare per Pechino una alternativa energetica alle rotte esistenti: secondo le stime dello US Geological Survey il 25% di risorse mondiali si concentra sotto i fondali dell’oceano Artico contando 375 miliardi di barili di greggio e 47,3 triliardi di metri cubi di gas; siamo oltre, quindi, le riserve di oro nero dell’Arabia Saudita e di gas del Qatar messi insieme.
Pechino guarda lontano come mostrano le considerazioni di Liu Pengfei, portavoce dell’Amministrazione cinese per la sicurezza marittima: «Ci saranno navi battenti bandiera cinese che percorreranno questa rotta in futuro. Una volta che sarà comunemente usata, cambierà radicalmente il trasporto marittimo globale e avrà una profonda influenza sul commercio internazionale, sull’economia mondiale, sui flussi di capitale e sullo sfruttamento delle risorse». Proprio la Groenlandia, in tempi recenti, è stata al centro dei tentativi di ingresso cinesi con il finanziamento (poi bloccato) di tre nuovi aeroporti.
La conclusione è semplice: il presidente Trump ha segnalato che si è aperto un altro fronte sul terreno del confronto con Pechino.
Diego Angelo Bertozzi
venerdì 19 luglio 2019
Il sogno esplosivo del Mandarino che volle raggiungere la Luna
Il 2011 si è chiuso con l'ingresso della Cina nel ristretto novero delle potenze spaziali accanto a Russia e Stati Uniti. La pubblicazione a fine dicembre da parte di Pechino del «Libro bianco sulle attività spaziali» delinea, infatti, un ambizioso programma quinquennale: entro il 2013 una sonda sarà inviata sulla Luna per esplorarne la superficie a fini di studio in vista del "grande balzo" del 2016, che dovrebbe portare il primo astronauta cinese ad aggiungere le sue orme sul satellite a quelle degli statunitensi Neil Armstrong e Buzz Aldrin della missione Apollo 11 dell'ormai lontano 1969.
Ma non è tutto. Nel programma si fa strada anche l'ipotesi di un viaggio verso Marte, per il quale si valuterà nei prossimi anni la possibilità di una missione completamente «made in China». Quello del Celeste Impero - definizione che oggi si potrebbe a maggior ragione recuperare - è un programma così serio che il «New York Times» lo ha presentato come un «approccio che offre lezioni alle altre potenze spaziali». La Cina - che dal 2006 ad oggi ha effettuato sessantasette lanci, mandato in orbita ottanta cosmonauti, più di settanta satelliti, due sonde lunari, due astronavi e una piattaforma orbitale - riprende un cammino iniziato molto tempo fa, quando a regnare erano ancora gli imperatori «Figli del Cielo».
Proprio alla Cina, infatti, si deve uno dei primissimi tentativi di raggiungere la Luna, nel nome di un sogno antico quanto i primi sguardi dell'uomo verso il nostro satellite. E antichi, tanto da si ritiene che il primo astronauta della storia sia apparso alla fine del XVI secolo sotto le sembianze di un funzionario e letterato cinese - un classico Mandarino con sulle spalle il peso del governo di uno sterminato impero - della celebre dinastia Ming (1368 - 1644). Wan Hu, questo il suo nome, ossessionato dall'idea di raggiungere la Luna, decise di tentare un'impresa impossibile, ma che a lui sembrava realizzabile a patto di sfruttare fino in fondo la tecnologia cinese del tempo.
essere confusi tra storia e leggenda, sono i tentativi eseguiti, o solo immaginati, con i mezzi più disparati, figli di una spregiudicata intelligenza. Talmente lontani, che
Così si legò a una sedia in vimini collegata a quarantasette razzi in bambù riempiti di polvere da sparo, dei più grossi e potenti che si potessero trovare, e poi con entrambe le mani si tenne aggrappato a un aquilone gigantesco. Tutto era pronto e al suo segnale i quarantasette servitori, provvisti di torce, accesero i razzi. Ma il tentativo non riuscì. Anzi, finì proprio male: l'esplosione fu enorme e del funzionario non rimase alcuna traccia. Poco prima pare avesse detto a un servitore: «Oggi voglio scoprire un nuovo modo di esplorare il cielo, anche se potrei essere fatto a pezzi. Non aver paura, accendi!».
L'insuccesso e la scomparsa del temerario Mandarino non hanno però scalfito il sogno lunare e il tentativo di Wan Hu è rimasto, per appassionati e astronomi, uno dei simboli della corsa allo spazio. Negli anni Settanta, infatti, l'Unione Internazionale di Astronomia ha dato il suo nome a un cratere della superficie lunare, situato sulla faccia nascosta del satellite, poco più a sud-ovest dell'enorme cratere Hertzsprung e a nord-est di quello Paschen. E anche uno dei padri della tecnologia moderna legata all'esplorazione spaziale come Wernher Von Braun - direttore del Marshall Center della Nasa e poi fondatore nel 1975 del National Space Institute - ricorda che in gioventù tentò qualcosa di simile a quanto fatto da Wan Hu, attaccando una dozzina di razzi a un carretto. Ma, a differenza del suo predecessore asiatico, non se la sentì di salirci sopra e la carretta partì da sola verso l'insuccesso. Una rinuncia che bene simboleggiava il passaggio dall'era della temerarietà e dei tentativi più azzardati, a quella più prosaica e rigorosa della scienza spaziale e delle agenzie governative. Il prossimo Wan Hu, quindi, non indosserà lo sgargiante e ingombrante abito di funzionario imperiale, ma una moderna tuta spaziale; non avrà alle spalle sprovveduti servitori, bensì l'apparato tecnologico e scientifico di un intero Paese.
Diego Angelo Bertozzi
Giornale di Brescia, 7 gennaio 2011
Ma non è tutto. Nel programma si fa strada anche l'ipotesi di un viaggio verso Marte, per il quale si valuterà nei prossimi anni la possibilità di una missione completamente «made in China». Quello del Celeste Impero - definizione che oggi si potrebbe a maggior ragione recuperare - è un programma così serio che il «New York Times» lo ha presentato come un «approccio che offre lezioni alle altre potenze spaziali». La Cina - che dal 2006 ad oggi ha effettuato sessantasette lanci, mandato in orbita ottanta cosmonauti, più di settanta satelliti, due sonde lunari, due astronavi e una piattaforma orbitale - riprende un cammino iniziato molto tempo fa, quando a regnare erano ancora gli imperatori «Figli del Cielo».
Proprio alla Cina, infatti, si deve uno dei primissimi tentativi di raggiungere la Luna, nel nome di un sogno antico quanto i primi sguardi dell'uomo verso il nostro satellite. E antichi, tanto da si ritiene che il primo astronauta della storia sia apparso alla fine del XVI secolo sotto le sembianze di un funzionario e letterato cinese - un classico Mandarino con sulle spalle il peso del governo di uno sterminato impero - della celebre dinastia Ming (1368 - 1644). Wan Hu, questo il suo nome, ossessionato dall'idea di raggiungere la Luna, decise di tentare un'impresa impossibile, ma che a lui sembrava realizzabile a patto di sfruttare fino in fondo la tecnologia cinese del tempo.
Giornale di Brescia, 7 gennaio 2011 |
Così si legò a una sedia in vimini collegata a quarantasette razzi in bambù riempiti di polvere da sparo, dei più grossi e potenti che si potessero trovare, e poi con entrambe le mani si tenne aggrappato a un aquilone gigantesco. Tutto era pronto e al suo segnale i quarantasette servitori, provvisti di torce, accesero i razzi. Ma il tentativo non riuscì. Anzi, finì proprio male: l'esplosione fu enorme e del funzionario non rimase alcuna traccia. Poco prima pare avesse detto a un servitore: «Oggi voglio scoprire un nuovo modo di esplorare il cielo, anche se potrei essere fatto a pezzi. Non aver paura, accendi!».
L'insuccesso e la scomparsa del temerario Mandarino non hanno però scalfito il sogno lunare e il tentativo di Wan Hu è rimasto, per appassionati e astronomi, uno dei simboli della corsa allo spazio. Negli anni Settanta, infatti, l'Unione Internazionale di Astronomia ha dato il suo nome a un cratere della superficie lunare, situato sulla faccia nascosta del satellite, poco più a sud-ovest dell'enorme cratere Hertzsprung e a nord-est di quello Paschen. E anche uno dei padri della tecnologia moderna legata all'esplorazione spaziale come Wernher Von Braun - direttore del Marshall Center della Nasa e poi fondatore nel 1975 del National Space Institute - ricorda che in gioventù tentò qualcosa di simile a quanto fatto da Wan Hu, attaccando una dozzina di razzi a un carretto. Ma, a differenza del suo predecessore asiatico, non se la sentì di salirci sopra e la carretta partì da sola verso l'insuccesso. Una rinuncia che bene simboleggiava il passaggio dall'era della temerarietà e dei tentativi più azzardati, a quella più prosaica e rigorosa della scienza spaziale e delle agenzie governative. Il prossimo Wan Hu, quindi, non indosserà lo sgargiante e ingombrante abito di funzionario imperiale, ma una moderna tuta spaziale; non avrà alle spalle sprovveduti servitori, bensì l'apparato tecnologico e scientifico di un intero Paese.
Diego Angelo Bertozzi
Giornale di Brescia, 7 gennaio 2011
mercoledì 3 aprile 2019
Ricalibrare la Belt and Road: verso una regolamentazione?
In vista del prossimo forum internazionale in programma a fine aprile (il primo si è tenuto nel maggio del 2017), Pechino prosegue lungo quello che abbiamo definito il "processo di apprendimento" a riguardo della Belt and Road Initiative.
Ci sono pochi dubbi sul fatto che il biennio 2017-2018 sia stato caratterizzato da successi per ciò che conosciamo come "Nuova via della seta", determinandone la sua espansione a livello globale (Artico ed America Latina ne fanno ormai parte), tanto da ottenere l'adesione formale di ormai un'ottantina di Paesi e, tra questi, l'Italia. Successi che non possono nascondere tuttavia problemi emersi e critiche (a volte interessate) diffuse.
Proprio per questo Pechino ha iniziato a rivedere e riformulare la sua iniziativa, ridiscutendo alcuni progetti con Paesi appesantiti da debiti, aprendola alla partecipazione di Paesi terzi e iniziando a definire un quadro giuridico per la risoluzione di controversie. In questo quadro di "rimodulazione" e "assestamento" si inserisce quanto riferito dall'agenzia Bloomberg: la Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma starebbe lavorando ad una definizione dei progetti che possono essere inclusi nell'ambito Bri ed ufficialmente riconosciuti dal governo, così da evitare un uso proprio del nome tale da incrinarne la reputazione.
Ci sono pochi dubbi sul fatto che il biennio 2017-2018 sia stato caratterizzato da successi per ciò che conosciamo come "Nuova via della seta", determinandone la sua espansione a livello globale (Artico ed America Latina ne fanno ormai parte), tanto da ottenere l'adesione formale di ormai un'ottantina di Paesi e, tra questi, l'Italia. Successi che non possono nascondere tuttavia problemi emersi e critiche (a volte interessate) diffuse.
Proprio per questo Pechino ha iniziato a rivedere e riformulare la sua iniziativa, ridiscutendo alcuni progetti con Paesi appesantiti da debiti, aprendola alla partecipazione di Paesi terzi e iniziando a definire un quadro giuridico per la risoluzione di controversie. In questo quadro di "rimodulazione" e "assestamento" si inserisce quanto riferito dall'agenzia Bloomberg: la Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma starebbe lavorando ad una definizione dei progetti che possono essere inclusi nell'ambito Bri ed ufficialmente riconosciuti dal governo, così da evitare un uso proprio del nome tale da incrinarne la reputazione.
lunedì 25 marzo 2019
Afghanistan e Via della seta... Washington permettendo
Si fa sempre più evidente e globale l'opposizione degli Stati Uniti alla cinese Belt and Road Initiative. Lo dimostra quanto accaduto recentemente in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in occasione del voto per l'estensione del mandato della missione in Afghanistann (UNAMA). Washington ha infatti impedito che nella risoluzione (venisse fatta esplicita menzione della Belt and Road in riferimento alla ricostruzione delle infrastrutture del Paese. Le risoluzioni di estensione del 2016 e del 2017, invece, citavano espressamente l'iniziativa cinese.
Da tempo Kabul mostra forte interesse per gli sviluppi della Bri, nello specifico nei confronti del Corridoio economico Cina-Pakistan (progetti per 60 miliardi di dollari), come possibile via per tornare a rappresentare un centro di collegamento commerciale tra l'Asia meridionale, centrale, orientale ed occidentale.
Il 2016 si è rivelato, in questo senso, particolarmente importante: oltre alla firma del Memorandum of Understanding tra Kabul e Pechino, è giunto nella città afghana di Hairatan, partendo dai dintorni di Shanghai, il primo treno merci cinese al termine di un viaggio durato due settimane e lungo tremila chilometri, attraverso Kazakistan e Uzbekistan. L'anno successivo Kabul ha fatto ingresso nella Asian Investment Infrastructure Bank, mentre nel 2018 ha ospitato il Forum dei sindaci delle città lungo la Via della seta".
Oltre a questo la stabilizzazione dell'Afghanistan è una priorità per Pechino, proprio per non creare problemi lungo una asse fondamentale della Belt and Road. Lo ricorda un rapporto dell'European Council on Foreign Relations: "la principale preoccupazione di Pechino è che la violenza terroristica in Afghanistan non si riversi soprattutto nel Pakistan - mettendo in pericolo il corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC), il suo progetto di punta BRI in Pakistan - o in Asia centrale". E' questo quadro che determina l'approfondimento della collaborazione sul fronte sicurezza tra i due Paesi, anche sotto forma di pattugliamenti congiunti tra forze di polizia lungo il confine. Significativa è la nomina, avvenuta nel gennaio del 2018, di Liu Jinsong ad ambasciatore della Repubblica Popolare in Afghanistan, perché si tratta di un ex direttore del Silk Road Fund, creato appositamente da Pechino per finanziare i progetti lungo le nuove vie della seta.
Oltre a questo la stabilizzazione dell'Afghanistan è una priorità per Pechino, proprio per non creare problemi lungo una asse fondamentale della Belt and Road. Lo ricorda un rapporto dell'European Council on Foreign Relations: "la principale preoccupazione di Pechino è che la violenza terroristica in Afghanistan non si riversi soprattutto nel Pakistan - mettendo in pericolo il corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC), il suo progetto di punta BRI in Pakistan - o in Asia centrale". E' questo quadro che determina l'approfondimento della collaborazione sul fronte sicurezza tra i due Paesi, anche sotto forma di pattugliamenti congiunti tra forze di polizia lungo il confine. Significativa è la nomina, avvenuta nel gennaio del 2018, di Liu Jinsong ad ambasciatore della Repubblica Popolare in Afghanistan, perché si tratta di un ex direttore del Silk Road Fund, creato appositamente da Pechino per finanziare i progetti lungo le nuove vie della seta.
mercoledì 12 settembre 2018
Trappola del debito? No, la Bri riduce le disuguaglianze
Per molti la Bri cinese altro non sarebbe che la copertura per una vera e propria strategia di dominio che si materializza attraverso una precisa tattica: indebitare i Paesi coinvolti con prestiti nella costruzione di infrastrutture per poi assumere il controllo di quest'ultime.
Ma è davvero solo questo? Si tratta di un ulteriore cappio al collo dei Paesi poveri o in via di sviluppo? La risposta data da AidData, un centro di ricerca statunitense, sottolinea ben altro: certo - si legge nel rapporto appena pubblicato "Connective Financing: Chinese Infrastructure Projects and the Diffusion of Economic Activity in Developing Countries" - ci sono problemi di debito, ma a risaltare è un aspetto tutt'altro che secondario: nei Paesi coinvolti dalla Belt and Road, con progetti infrastrutturali di collegamento, si è verificata una diminuzione delle disparità economiche "in un modo nel quale mai erano riusciti i donatori occidentali".
Mentre le agenzie umanitarie occidentali e le banche multilaterali di sviluppo "preferiscono localizzare i propri investimenti nelle aree più ricche dei paesi ospitanti" ignorando di lavorare in regioni economicamente svantaggiate, la Cina ha portato benefici proprio in queste: "Nei paesi beneficiari degli aiuti, molte comunità rurali sono scollegate dalle aree più sviluppate del paese ed è difficile per i residenti svolgere un lavoro più remunerativo in un luogo distante, ad esempio, un'ora dal centro della città. L'accessibilità li aiuta ad avere migliori opportunità di lavoro, mentre le piccole e medie imprese possono anche raggiungere una clientela più ampia".
In generale queste sono le conclusioni dello studio: "Troviamo che i progetti di sviluppo cinesi in generale, e i progetti di trasporto cinesi in in particolare, riducono le disuguaglianze economiche all'interno e tra le regioni. Gli investimenti cinesi in "infrastrutture connettive" producono ricadute economiche positive che livellano la distribuzione spaziale dell'attività economica. Nella misura in cui la Cina sta contribuendo allo sviluppo i paesi sfuggono a equilibri spaziali inefficienti in cui la maggior parte dell'attività economica si concentra in piccolo numero di centri urbani e gravita lontano dalle città e dai villaggi rurali, questo è un risultato che dovrebbe essere celebrato".
Ma è davvero solo questo? Si tratta di un ulteriore cappio al collo dei Paesi poveri o in via di sviluppo? La risposta data da AidData, un centro di ricerca statunitense, sottolinea ben altro: certo - si legge nel rapporto appena pubblicato "Connective Financing: Chinese Infrastructure Projects and the Diffusion of Economic Activity in Developing Countries" - ci sono problemi di debito, ma a risaltare è un aspetto tutt'altro che secondario: nei Paesi coinvolti dalla Belt and Road, con progetti infrastrutturali di collegamento, si è verificata una diminuzione delle disparità economiche "in un modo nel quale mai erano riusciti i donatori occidentali".
Mentre le agenzie umanitarie occidentali e le banche multilaterali di sviluppo "preferiscono localizzare i propri investimenti nelle aree più ricche dei paesi ospitanti" ignorando di lavorare in regioni economicamente svantaggiate, la Cina ha portato benefici proprio in queste: "Nei paesi beneficiari degli aiuti, molte comunità rurali sono scollegate dalle aree più sviluppate del paese ed è difficile per i residenti svolgere un lavoro più remunerativo in un luogo distante, ad esempio, un'ora dal centro della città. L'accessibilità li aiuta ad avere migliori opportunità di lavoro, mentre le piccole e medie imprese possono anche raggiungere una clientela più ampia".
In generale queste sono le conclusioni dello studio: "Troviamo che i progetti di sviluppo cinesi in generale, e i progetti di trasporto cinesi in in particolare, riducono le disuguaglianze economiche all'interno e tra le regioni. Gli investimenti cinesi in "infrastrutture connettive" producono ricadute economiche positive che livellano la distribuzione spaziale dell'attività economica. Nella misura in cui la Cina sta contribuendo allo sviluppo i paesi sfuggono a equilibri spaziali inefficienti in cui la maggior parte dell'attività economica si concentra in piccolo numero di centri urbani e gravita lontano dalle città e dai villaggi rurali, questo è un risultato che dovrebbe essere celebrato".
mercoledì 5 settembre 2018
Rispondere alla chiamata dei tempi: Xi Jinping al Forum Cina-Africa (Focac)
Di seguito, dopo un breve estratto introduttivo, il link ad una versione in inglese del discorso ufficiale tenuto dal presidente cinese (e segretario del Partito comunista) in occasione della cerimonia di apertura del Forum sulla cooperazione Cina-Africa del 3 settembre a Pechino.
"Rispettiamo l'Africa, amiamo l'Africa e sosteniamo l'Africa. Seguiamo un approccio "cinque-no" nelle nostre relazioni con l'Africa: nessuna interferenza nei Paesi africani nel perseguimento di percorsi di sviluppo che si adattino alle loro condizioni nazionali; nessuna interferenza negli affari
interni dei Paesi africani; nessuna imposizione della nostra volontà sui paesi africani; nessun condizionamento politico all'assistenza all'Africa; e nessuna ricerca di guadagni politici egoistici negli investimenti e nel finanziamento della cooperazione con l'Africa. Speriamo che questo approccio "cinque-no" possa essere applicato ad altri paesi che si occupano di questioni riguardanti l'Africa. [...] La Cina ha sempre fatto la sua parte nel promuovere la pace e lo sviluppo mondiale e nel sostenere l'ordine internazionale. Chiediamo di aumentare la rappresentanza e la voce dei Paesi in via di sviluppo negli affari internazionali e sostenere gli sforzi per rafforzare il Sud, un anello debole nel sistema di governance globale, nonché gli sforzi per creare sinergia nella cooperazione Sud-Sud. Continueremo ad impegnarci per rendere il sistema di governance globale più rappresentativo della volontà e degli interessi della maggioranza dei paesi, in particolare dei paesi in via di sviluppo".
"Rispettiamo l'Africa, amiamo l'Africa e sosteniamo l'Africa. Seguiamo un approccio "cinque-no" nelle nostre relazioni con l'Africa: nessuna interferenza nei Paesi africani nel perseguimento di percorsi di sviluppo che si adattino alle loro condizioni nazionali; nessuna interferenza negli affari
interni dei Paesi africani; nessuna imposizione della nostra volontà sui paesi africani; nessun condizionamento politico all'assistenza all'Africa; e nessuna ricerca di guadagni politici egoistici negli investimenti e nel finanziamento della cooperazione con l'Africa. Speriamo che questo approccio "cinque-no" possa essere applicato ad altri paesi che si occupano di questioni riguardanti l'Africa. [...] La Cina ha sempre fatto la sua parte nel promuovere la pace e lo sviluppo mondiale e nel sostenere l'ordine internazionale. Chiediamo di aumentare la rappresentanza e la voce dei Paesi in via di sviluppo negli affari internazionali e sostenere gli sforzi per rafforzare il Sud, un anello debole nel sistema di governance globale, nonché gli sforzi per creare sinergia nella cooperazione Sud-Sud. Continueremo ad impegnarci per rendere il sistema di governance globale più rappresentativo della volontà e degli interessi della maggioranza dei paesi, in particolare dei paesi in via di sviluppo".
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