Ma non è tutto. Nel programma si fa strada anche l'ipotesi di un viaggio verso Marte, per il quale si valuterà nei prossimi anni la possibilità di una missione completamente «made in China». Quello del Celeste Impero - definizione che oggi si potrebbe a maggior ragione recuperare - è un programma così serio che il «New York Times» lo ha presentato come un «approccio che offre lezioni alle altre potenze spaziali». La Cina - che dal 2006 ad oggi ha effettuato sessantasette lanci, mandato in orbita ottanta cosmonauti, più di settanta satelliti, due sonde lunari, due astronavi e una piattaforma orbitale - riprende un cammino iniziato molto tempo fa, quando a regnare erano ancora gli imperatori «Figli del Cielo».
Proprio alla Cina, infatti, si deve uno dei primissimi tentativi di raggiungere la Luna, nel nome di un sogno antico quanto i primi sguardi dell'uomo verso il nostro satellite. E antichi, tanto da si ritiene che il primo astronauta della storia sia apparso alla fine del XVI secolo sotto le sembianze di un funzionario e letterato cinese - un classico Mandarino con sulle spalle il peso del governo di uno sterminato impero - della celebre dinastia Ming (1368 - 1644). Wan Hu, questo il suo nome, ossessionato dall'idea di raggiungere la Luna, decise di tentare un'impresa impossibile, ma che a lui sembrava realizzabile a patto di sfruttare fino in fondo la tecnologia cinese del tempo.
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Giornale di Brescia, 7 gennaio 2011 |
Così si legò a una sedia in vimini collegata a quarantasette razzi in bambù riempiti di polvere da sparo, dei più grossi e potenti che si potessero trovare, e poi con entrambe le mani si tenne aggrappato a un aquilone gigantesco. Tutto era pronto e al suo segnale i quarantasette servitori, provvisti di torce, accesero i razzi. Ma il tentativo non riuscì. Anzi, finì proprio male: l'esplosione fu enorme e del funzionario non rimase alcuna traccia. Poco prima pare avesse detto a un servitore: «Oggi voglio scoprire un nuovo modo di esplorare il cielo, anche se potrei essere fatto a pezzi. Non aver paura, accendi!».
L'insuccesso e la scomparsa del temerario Mandarino non hanno però scalfito il sogno lunare e il tentativo di Wan Hu è rimasto, per appassionati e astronomi, uno dei simboli della corsa allo spazio. Negli anni Settanta, infatti, l'Unione Internazionale di Astronomia ha dato il suo nome a un cratere della superficie lunare, situato sulla faccia nascosta del satellite, poco più a sud-ovest dell'enorme cratere Hertzsprung e a nord-est di quello Paschen. E anche uno dei padri della tecnologia moderna legata all'esplorazione spaziale come Wernher Von Braun - direttore del Marshall Center della Nasa e poi fondatore nel 1975 del National Space Institute - ricorda che in gioventù tentò qualcosa di simile a quanto fatto da Wan Hu, attaccando una dozzina di razzi a un carretto. Ma, a differenza del suo predecessore asiatico, non se la sentì di salirci sopra e la carretta partì da sola verso l'insuccesso. Una rinuncia che bene simboleggiava il passaggio dall'era della temerarietà e dei tentativi più azzardati, a quella più prosaica e rigorosa della scienza spaziale e delle agenzie governative. Il prossimo Wan Hu, quindi, non indosserà lo sgargiante e ingombrante abito di funzionario imperiale, ma una moderna tuta spaziale; non avrà alle spalle sprovveduti servitori, bensì l'apparato tecnologico e scientifico di un intero Paese.
Diego Angelo Bertozzi
Giornale di Brescia, 7 gennaio 2011
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