mercoledì 12 settembre 2018

Trappola del debito? No, la Bri riduce le disuguaglianze

Per molti la Bri cinese altro non sarebbe che la copertura per una vera e propria strategia di dominio che si materializza attraverso una precisa tattica: indebitare i Paesi coinvolti con prestiti nella costruzione di infrastrutture per poi assumere il controllo di quest'ultime.
Ma è davvero solo questo? Si tratta di un ulteriore cappio al collo dei Paesi poveri o in via di sviluppo? La risposta data da AidData, un centro di ricerca statunitense, sottolinea ben altro: certo - si legge nel rapporto appena pubblicato "Connective Financing: Chinese Infrastructure Projects and the Diffusion of Economic Activity in Developing Countries" - ci sono problemi di debito, ma a risaltare è un aspetto tutt'altro che secondario: nei Paesi coinvolti dalla Belt and Road, con progetti infrastrutturali di collegamento, si è verificata una diminuzione delle disparità economiche "in un modo nel quale mai erano riusciti i donatori occidentali".
Mentre le agenzie umanitarie occidentali e le banche multilaterali di sviluppo "preferiscono localizzare i propri investimenti nelle aree più ricche dei paesi ospitanti" ignorando di lavorare in regioni economicamente svantaggiate, la Cina ha portato benefici proprio in queste: "Nei paesi beneficiari degli aiuti, molte comunità rurali sono scollegate dalle aree più sviluppate del paese ed è difficile per i residenti svolgere un lavoro più remunerativo in un luogo distante, ad esempio, un'ora dal centro della città. L'accessibilità li aiuta ad avere migliori opportunità di lavoro, mentre le piccole e medie imprese possono anche raggiungere una clientela più ampia".
In generale queste sono le conclusioni dello studio: "Troviamo che i progetti di sviluppo cinesi in generale, e i progetti di trasporto cinesi in in particolare, riducono le disuguaglianze economiche all'interno e tra le regioni. Gli investimenti cinesi in "infrastrutture connettive" producono ricadute economiche positive che livellano la distribuzione spaziale dell'attività economica. Nella misura in cui la Cina sta contribuendo allo sviluppo i paesi sfuggono a equilibri spaziali inefficienti in cui la maggior parte dell'attività economica si concentra in piccolo numero di centri urbani e gravita lontano dalle città e dai villaggi rurali, questo è un risultato che dovrebbe essere celebrato".


mercoledì 5 settembre 2018

Rispondere alla chiamata dei tempi: Xi Jinping al Forum Cina-Africa (Focac)

Di seguito, dopo un breve estratto introduttivo,  il link ad una versione in inglese del discorso ufficiale tenuto dal presidente cinese (e segretario del Partito comunista) in occasione della cerimonia di apertura del Forum sulla cooperazione Cina-Africa del 3 settembre a Pechino.
"Rispettiamo l'Africa, amiamo l'Africa e sosteniamo l'Africa. Seguiamo un approccio "cinque-no" nelle nostre relazioni con l'Africa: nessuna interferenza nei Paesi africani nel perseguimento di percorsi di sviluppo che si adattino alle loro condizioni nazionali; nessuna interferenza negli affari
interni dei Paesi africani; nessuna imposizione della nostra volontà sui paesi africani; nessun condizionamento politico all'assistenza all'Africa; e nessuna ricerca di guadagni politici egoistici negli investimenti e nel finanziamento della cooperazione con l'Africa. Speriamo che questo approccio "cinque-no" possa essere applicato ad altri paesi che si occupano di questioni riguardanti l'Africa. [...] La Cina ha sempre fatto la sua parte nel promuovere la pace e lo sviluppo mondiale e nel sostenere l'ordine internazionale. Chiediamo di aumentare la rappresentanza e la voce dei Paesi in via di sviluppo negli affari internazionali e sostenere gli sforzi per rafforzare il Sud, un anello debole nel sistema di governance globale, nonché gli sforzi per creare sinergia nella cooperazione Sud-Sud. Continueremo ad impegnarci per rendere il sistema di governance globale più rappresentativo della volontà e degli interessi della maggioranza dei paesi, in particolare dei paesi in via di sviluppo".

giovedì 30 agosto 2018

Bri e "trappola del debito": il caso Sri Lanka

Lo Sri Lanka è citato come chiaro esempio di come la Belt and Road, spingendo in una "trappola del debito" i Paesi coinvolti si riveli funzionale ad una strategia di controllo e dominio di Pechino. Il controllo del porto cingalse di Hambantota affidato alla China Merchants Port Holdings a causa della impossibilità di restituire i prestiti risponderebbe, perciò, ad una logica di espansione geopolitica e militare della Repubblica popolare. Ma siamo sicuri che sia l'esempio migliore? La fetta più grande del debito di Colombo è, infatti, precedente all'aumento dei prestiti provenienti da Pechino. Una porzione significativa del debito Sri - si legge in articolo della Nikkei Asia Review - proviene da prestiti agevolati provenienti da fonti finanziarie sia bilaterali che multilaterali, tra le quali la Cina è solo l'ultima arrivata. Il debito estero accumulato dal Paese è di circa 55 miliardi di dollari. I creditori cinesi detengono il 10% di questo totale, il Giappone il 12%, la Banca asiatica di sviluppo il 14% e la Banca mondiale l'11%.

sabato 18 agosto 2018

Recensione: La ”Belt and Road Initiative”, un sistema da comprendere


Il recente decollo politico, oltre che economico, della Cina ha portato la Repubblica Popolare a conseguire uno status di potenza e influenza internazionale senza precedenti nella sua storia recente ma ha anche, in un certo senso, sorpassato a più riprese qualsivoglia analisi e predizione degli studiosi che si sono approcciati alle dinamiche relative all’ascesa di questo fondamentale attore della scena mondiale.

Risulta doveroso uno studio completo delle ragioni del decollo cinese in seguito al lancio della “Politica di riforma ed apertura” di Deng Xiaoping sul finire degli Anni Settanta e, più di recente, della grande strategia con cui la leadership del Partito Comunista, oggi incarnata nel suo dominus Xi Jinping, sta programmando l’avanzamento mondiale di Pechino. Tale avanzamento si incentra su tre pietre miliari cronologiche: entro il 2021, centenario del Partito, è prevista la completa eradicazione della povertà rurale; per il 2035 il conseguimento di un livello adeguato di ricchezza per tutta la popolazione e la modernizzazione dell’apparato militare; per il 2049, centenario della Repubblica Popolare, la Cina punta a strutturarsi come “moderno e prospero Paese socialista” e a completare l’unificazione territoriale con il ritorno di Taiwan alla madrepatria.

La “Nuova via della seta”, in questo contesto, è la strada maestra che la Cina ha deciso di percorrere per raggiungere tali obiettivi. Il campo degli studiosi di politica internazionale italiani ha la fortuna di annoverare tra i suoi ranghi un autore che è riuscito a coprire nella sua analisi tanto le ragioni storiche della frenetica ascesa della Cina quanto le dinamiche intrinseche alla Belt and Road Initiative (Bri), Diego Angelo Bertozzi, 45enne bresciano collaboratore di Marx21. Bertozzi, di recente, ha aggiunto al suo notevole saggio Cina – Da sabbia informe a potenza globale il suo seguito naturale La Belt and Road Initiative – La Nuova via della seta e la Cina globale, che analizza dal punto di vista economico, geopolitico e strategico il centro di gravità della moderna azione cinese nel mondo.

Con la Belt and Road Initiative la Cina torna protagonista della Storia
Quello di Bertozzi è un saggio di notevole spessore, che unisce un approccio di ampio respiro alla Bri al costante mantenimento di un forte spirito critico: la “nuova globalizzazione” di matrice cinese è analizzata tanto nelle premesse quanto nelle implicazioni. Non mancano opportuni riferimenti alle manovre cinesi per lo sviluppo infrastrutturale euroasiatico e il rilancio della connettività tra Oriente e Occidente che, di fatto, è la cifra determinante del progetto.

Leggi la recensione completa 

martedì 14 agosto 2018

Banconote e Belt and Road

Secondo un'inchiesta del South China Morning Post - ripresa poi dalla stampa internazionale - Pechino si sta imponendo come nuovo centro globale per la stampa di banconote di Paesi stranieri, scalzando un tradizionale oligopolio occidentale (Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania). La statale China Banknote Printing and Minting Corporation, con sede a Pechino, è al centro di questa produzione che riceve ordini soprattutto dai Paesi che collaborano con la Belt and Road Initiative.


Si tratta di un altro - l'ennesimo - segnale della scalata cinese nell'influenza globale perché, come sottolinea lo studioso Hu Xingdou (Università di Pechino), indica una forte fiducia nei confronti del Paese in un settore assai delicato per la sovranità e la sicurezza nazionale ("La valuta è un simbolo della sovranità di un paese. Questo business aiuta a costruire fiducia e anche alleanze monetarie").

Basti pensare a quanto successo alla Libia di Gheddafi, vittima del "regime change" sostenuto dalla Nato: il governo britannico sequestrò dinari libici per un valore in dollari di quasi 1,5 miliardi stampati dalla azienda De La Rue, causando gravi carenze di liquidità che hanno aumentato la pressione sul regime.




martedì 7 agosto 2018

Primo passo per una "Silk road" made in Usa?

Nei documenti rilasciati in materia di sicurezza l'amministrazione Trump ha individuato nella Cina il proprio principale "avversario strategico", facendo un chiaro riferimento al possibile aumento di influenza determinato dai rapporti economici sviluppati nell'ambito della Belt and Road Initiative. L'attenzione riservata dall'amministrazione Trump al concetto di "Indo Pacifico" è  indicativa proprio di una politica di rilancio della presenza Usa in una vasta area che va dall'India al Giappone attraverso un maggiore coordinamento militare proprio con Giappone, India e Australia e la messa in campo di una risposta economica, nel delicato settore infrastrutturale, all'imponente Bri cinese.

Il segretario di Stato Mike Pompeo, alla vigilia del suo viaggio asiatico in Malesia, Singapore e Indonesia (tutti Paesi di fatto inseriti nell'iniziativa cinese) mentre ribadiva come "l'Indo-Pacifico, che si estende dalla costa occidentale degli Stati Uniti alla costa occidentale dell'India, è un argomento
di grande importanza per la politica estera americana", ha anticipato un primo piano di investimenti di 113milioni di dollari come primo acconto "di una nuova era dell'impegno economico degli Stati Uniti verso la pace e la prosperità nella regione dell'Indo-Pacifico". Nello specifico i fondi sarebbero così ripartiti: un investimento iniziale di 25 milioni sarà destinato a migliorare la connettività digitale dei paesi partner per sostenere le esportazioni tecnologiche statunitensi; circa 50 milioni saranno stanziati per la gestione delle risorse energetiche, e 30 milioni a sostegno di progetti infrastrutturali.
Gli investimenti annunciati, che vanno a costituire il pilastro economico della strategia dell'Indo-Pacifico, saranno in parte sostenuti dalla Overseas Private Investment Corporation (OPIC) che sarà fusa con un'ala dell'Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale per creare la USIDFC. Si tratta di cifre che ad oggi impallidiscono di fronte a quelle messe a disposizione da Pechino come gli oltre 60 miliardi di dollari solo per lo sviluppo del Corridoio economico Cina-Pakistan.

Per Karl Friedhoff (Chicago Council on Global Affairs) gli Usa hanno l'obbligo di rispondere sul terreno alla Belt and Road coordinandosi con iniziative simili intraprese da alleati storici come il Giappone e la Corea del Sud, ma l'attenzione più che sui progetti stradali o ferroviari (punto di forza dell'impegno cinese) deve essere indirizzata ai settori che permettono di ottenere simpatia e consenso tra le popolazioni locali: educazione, formazione, ospedali e servizi finanziari. La strategia è quindi quella di utilizzare la Belt and Road più che contrastarla: "Se gli Stati Uniti sono seriamente intenzionati a rimanere impegnati nel sud-est asiatico, devono proporre una nuova strategia. La Belt and Road dovrebbe servire come base per gli Stati Uniti e i suoi partner su cui agire e costruire. Se un concorrente strategico è disposto a spendere capitali per gettare le fondamenta, gli Stati Uniti dovrebbero incoraggiarlo. Poi, quando sarà il momento, dovranno schierare tutta la loro gamma di poteri nazionali per cooptare quell'investimento".

Le reazioni cinesi all'iniziativa, affidate ad un editoriale comparso sull'ufficiale Global Times, non fanno trasparire eccessive preoccupazioni: "Washington potrebbe sperare di interrompere l'iniziativa Belt and Road, ma è altamente improbabile che l'iniziativa di investimento da 113 milioni di dollari degli Stati Uniti entrerà in collisione con l'iniziativa Belt and Road. La regione indo-pacifica è troppo grande e molte élite occidentali hanno frainteso la natura dell'iniziativa Belt and Road, ritenendo che sia una strategia geopolitica da sfidare. Date le infrastrutture arretrate della regione indo-pacifica, i piani di sviluppo, non importa quanti, sono abbastanza lontani da soddisfarne i bisogni. Piani diversi non dovrebbero essere escludersi a vicenda. L'iniziativa Belt and Road è un piano di sviluppo aperto. Non si tratta di competizione, ma di una piattaforma per la cooperazione".

sabato 4 agosto 2018

Cina e Africa, un bene anche per l'Europa

Vi proponiamo un'interessante analisi dei recenti viaggi compiuti dal presidente cinese Xi Jinping in Senegal, Ruanda e Mauritius, nel corso dei quali sono stati sottoscritti accordi di collaborazione in ambito Belt and Road Initative.


Una risposta ai bisogni dell'Africa
"L'Africa sta vivendo una forte crescita economica e urbana. L'Africa è il continente in cui l'urbanizzazione cresce maggiormente a livello globale. Nel 2017, il Ruanda ha registrato un tasso di
crescita urbana del 5,6%! Inoltre, molti stati africani sono solo all'inizio del loro processo di urbanizzazione. Per far fronte alle carenze di alloggi e ai problemi ambientali legati all'urbanizzazione, l'Africa ha urgente bisogno di infrastrutture nei trasporti, nell'energia e nella gestione delle risorse. La volontà della Cina di partecipare alla costruzione di infrastrutture è molto apprezzata dagli stati africani".

Non solo Africa
"Il crescente potere di Pechino rafforzerà indubbiamente l'influenza delle aziende cinesi nel continente, ma questi progetti creeranno anche nuove opportunità per gli europei.
In primo luogo, lo sviluppo della "Belt and Road Initiative" sulle coste africane atlantiche potrebbe incrementare gli scambi con i porti europei. La riduzione delle barriere tariffarie e non tariffarie (uno degli obiettivi della BRI) associata allo sviluppo del trasporto interregionale in Africa può consentire l'emergere di un mercato africano meno frammentato a cui le imprese cinesi ed europee potranno accedere più facilmente. Inoltre, le nuove imprese e lo sviluppo di nuove infrastrutture in Africa creeranno nuove opportunità per i giovani africani, e questo potrebbe avere un impatto sull'emigrazione illegale in Europa".

lunedì 23 luglio 2018

Non è solo Gibuti: la Nuova via della Seta arriva in Senegal


L'ingresso ufficiale del Senegal, con la firma di un accordo di cooperazione con la Belt and Road Initiative durante la visita ufficiale di Xi Jinping, segna una importante prima volta per la Cina popolare in Africa occidentale, zona tradizionalmente sotto influenza politica ed economica della Francia, ex potenza coloniale.  Va comunque detto che in quest'area Pechino è già presente con diversi progetti infrastrutturali di collegamento in aggiunta a quello che più interessa il Senegal, vale a dire l'autostrada trans-africana che va da Dakar a Gibuti: la linea ferroviaria Dakar-Bamako che rientra in un ampio quadro di accordi con il Mali, tra cui un collegamento ferroviario tra il Paese africano privo di sbocchi sul mare e il porto guineano di Conakry, e la costruzione di grandi dighe in Guinea e in Costa d'Avorio, con quest'ultima che ha ricevuto l'impegno cinese di 7,5 miliardi di dollari per investire nelle infrastrutture.

Perché per Pechino è importante coinvolgere il Senegal nella Bri? Una serie di risposte – quattro “ragioni chiave” -  la suggerisce Cornelia Tremann del Lowy Institute: il consolidamento e la stabilizzazione delle relazioni con un partner diplomaticamente instabile che è nella sua storia post-coloniale ha alternato il riconoscimento di Taiwan a quello di Pechino; si tratta di un Paese africano tra i più stabili politicamente ed economicamente, con il più alto tasso di crescita in Africa occidentale (7,5% nel 2017) dietro solo alla Costa d'Avorio, è impegnato in un piano nazionale di sviluppo ed apertura agli investimenti esteri che spinge a superare o integrare i tradizionali rapporti con Unione Europea e Francia; situato all'incrocio tra Africa Sahariana e Subsahariana, il Senegal ha in Dakar il porto in acque profonde più grande ed efficiente dell'Africa occidentale. Qui Pechino finanzia la prima Zona economica speciale (Zes) dell'area francofona e può puntare alla diffusione della propria industria e dei propri beni in Paesi legati più agli Usa e alla Francia.

mercoledì 18 luglio 2018

Tra UE e Giappone... c'è di mezzo la Bri

Il trattato di libero scambio firmato da Unione Europea e Giappone non va letto solo in funzione dell'opposizione alla politica "isolazionista" dell'Amministrazione Trump. Per Tokyo c'è anche altro che ha spinto verso la conclusione di tale accordo, vale a  dire la volontà e la possibilità di sfruttare la rete infrastrutturale e i collegamenti con l'Europa che si sono sviluppati sotto l'ombrello della Belt and Road Initiative cinese.

Come in altre occasioni - e pure in un corposo capitolo del libro - è stato evidenziato, nonostante la diffidenza del governo Abe, la volontà di portare avanti una propria strategia alternativa (in collegamento con India e Usa) e la mancata partecipazione alla AIIB, sono sempre più le grandi aziende nipponiche che sono salite sul carro della Bri, tra le quali Nippon Express che nel maggio scorso ha lanciato un servizio di spedizioni aeree e marittime verso la Cina per poi caricare le merci sulle reti ferroviarie che raggiungono il Vecchio Continente. Come scriveva su Forbes Ralph Jennings nell'aprile scorso, il Giappone "è salito a bordo in parte perché la Belt and Road Initiative aiuta le sue multinazionali ad espandersi in altri paesi. In questo modo, i grandiosi progetti di Pechino potrebbero far avanzare le più ampie ambizioni economiche di Tokyo in Asia".

martedì 17 luglio 2018

Cina e Israele nella Bri: tecnologia e infrastrutture

Come riportato in "La Belt and Road Initiative. La nuova via della seta e la Cina globale", sono molti gli studiosi che per sottolineare come Pechino si stia facendo strada nel Medio Oriente fanno riferimento allo sviluppo dei rapporti con Tel Aviv, il cui approfondimento è testimoniato dal rapido aumento degli investimenti cinesi, passati dai 50 milioni di dollari del 1992 ai 16,5 miliardi del 2016. Un incremento notevole, diretto soprattutto al settore high-tech israeliano con la costituzione di joint venture e che ha portato alla costruzione di infrastrutture come porti e gallerie. Proprio nell’high-tech si assiste ad un vero e proprio “cambiamento epocale per le aziende israeliane” che fino a poco tempo fa per i propri finanziamenti guardavano soprattutto agli Stati Uniti e all’Europa, ma che ora raccolgono sempre più fondi da investitori cinesi.

Da Diplomatic Courier
Nell'ambito Bri, nello specifico nel “Corridoio Israele-Cina”, emerge su tutti il progetto di ferrovia, conosciuto come “Red-Med”, che dovrebbe collegare Eliat, un porto a nord del Mar Rosso, con il porto di Ashdod sul Mediterraneo. Il primo dovrebbe essere sviluppato in modo da consentire l’approdo di più navi mercantili. Nel 2014, una filiale della China Harbor Engineering Company ha vinto un appalto da 950 milioni di dollari per costruire una struttura portuale a sud di Ashdod e nel 2015 lo Shanghai International Port Group ha si è aggiudicata una gara per 2 miliardi di dollari per operare nel nuovo porto di Haifa per 25 anni a partire dal 2021.

A proposito delle basi e delle prospettive della collaborazione tra Pechino e Tel Aviv, The Diplomat ospita un'intervista di Mercy Kuo a Alexander B. Pevzner fondatore del Chinese Media Center (CMC). E' quest'ultimo a sottolineare come Israele Israele si trovi "tra l'Europa e l'Asia, tra il Medio Oriente e l'Africa. In quanto tale, il suo posizionamento strategico per l'iniziativa Cintura e Strada cinese è evidente. Nel 2015 Israele è diventata membro fondatore della Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) guidata dalla Cina nel tentativo di esplorare ulteriormente i mercati asiatici. Inoltre, non solo Israele è al centro delle lontane rotte commerciali cinesi, ma la sua stabilità è l'eccezione nel turbolento Medio Oriente".

Va comunque ricordato all'esperto israeliano che l'instabilità del Medio Oriente - si veda nello specifico il caso della Siria  - è anche il frutto di precise scelte politiche di Tel Aviv, oltre che delle maggiori potenze occidentali.

venerdì 13 luglio 2018

La Tunisia entra nella Bri

Che il Mediterraneo sia uno "specchio d'acqua" sempre più strategico per il successo della Belt and Road Initative cinese è ormai evidente. 
Lo testimoniano i tanti investimenti in strutture portuali dei colossi di Pechino in Turchia, Israele, Egitto, Algeria, Spagna e pure Italia. 
Non sorprende, quindi, che il 12 luglio la Tunisia abbia firmato un Memorandum d'intesa di adesione formale alla Bri in base al quale Pechino sosterrà Tunisi nei progetti di sviluppo infrastrutturale. Poco prima della firma nel Paese africano affacciato sul Mediterraneo erano giunti sessanta vagoni ferroviari cinesi, prodotti da da Baotou Beifang Chuangye, dedicati al trasporto di cereali.

lunedì 9 luglio 2018

Verso il Corridoio Cina-Myanmar

Nonostante le preoccupazioni sempre più diffuse in Asia sud-orientale sulle conseguenze della crescente esposizioni debitoria nei confronti di Pechino, ad inizio luglio funzionari di Cina e Myanmar hanno trovato un primo accordo per un Memorandum di intesa in 15 punti sulla costruzione del Corridoio economico Cina-Myanmar come parte della Belt and Road Initiative.
Il Memorandum, che dovrebbe essere firmato dai due governi entro la fine dell'anno,  prevede i collaborazioni e consultazioni a livello ministeriale su molti settori tra cui infrastrutture di base, costruzione, produzione, agricoltura, trasporti, finanza, sviluppo delle risorse umane, telecomunicazioni ricerca e tecnologia.

Geograficamente il Corridoio parte dalla province cinese dello Yunnan per raggiungere la zona economica speciale e il futuro porto di Kyaukpyu, passando attraverso Mandalay e Rangoon.

L'importanza del Myanmar nello sviluppo della Belt and Road Initiative è da tempo nota: il Paese indocinene occupa una posizione geografica unica, all'incrocio tra Asia meridionale e Asia sud-orientale, e tra l'Oceano Indiano e la provincia cinese dello Yunnan priva di sbocco sul mare. Da una prospettiva strategica, il Myanmar è uno dei due punti di accesso diretto, insieme al Pakistan, all'Oceano Indiano per la Cina.

mercoledì 4 luglio 2018

"La Belt and Road Initiative. La nuova via della seta e la Cina globale": un'intervista sul libro.

La Nuova Via della Seta è il grande progetto della Cina del XXI secolo. Rifacendosi all’antica via commerciale del secondo secolo d.C. della dinastia Han, la Belt and Road Initiative (BRI) è un piano per la costruzione di infrastrutture di trasporto e logistiche che coinvolge decine di paesi di tutto il mondo per un valore di più di mille miliardi di dollari. Di questo ambizioso progetto ne ha parlato Diego Angelo Bertozzi in "La Belt and Road Initiative. La Nuova Via della Seta e la Cina globale" (Imprimatur). In questa intervista Bertozzi, già autore di altri volumi sul paese orientale, ha discusso sulle prospettive della BRI e sul futuro della Cina. 

1) La Nuova Via della Seta viene descritto come un progetto aperto e in costante evoluzione. Che definizione daresti della BRI e quali sono per te i suoi scopi principali? 
Della nuova via della seta esistono diverse mappe –che di volta in volta segnalano l’aggiornamento delle rotte individuate o dei progetti in essere. La prima ufficiale è stata pubblicata nel 2013, mentre l’ultima versione è del dicembre del 2016 e porta alcune novità quali una descrizione più dettagliata dei corridoi terrestri, la copertura dell’intero bacino mediterraneo lungo una linea che prosegue, senza una meta precisa, verso l’Atlantico, così come a est si aprono rotte marittime verso l’Artico e oltre l’Australia. Queste aperture indefinite, così come la maggiore specificazione dei percorsi terrestri e marittimi, vanno a confermare la natura aperta dell’intero progetto, che non segue disegni e confini prestabiliti, che si adatta di volta in volta agli accordi conclusi e che non preclude possibili nuove collaborazioni. Tentativi, verifiche sul campo, cautela e metodi d'azione non rigidi permettono di saggiare tanto le potenzialità di possibili quanto di valutare le possibili contromosse di competitori strategici. Si capisce quindi il motivo per il quale a Pechino si preferisca – certo anche per motivi propagandistici – utilizzare la parola “progetto” anziché “strategia”, più sospettosa, politicamente impegnativa e produttrice di contrasti. Di fatto ancora oggi della via della seta si conoscono bene i punti di partenza mentre dove finisca resta un sorta di mistero visto che oltre a riguardare ormai un'ottantina di Paesi, tra i quali tutti i quattordici vicini e confinanti (India esclusa), la lista include ora quelli più lontani in Africa, Sudamerica e persino America Centrale. Ritengo appropriata la defizione di “processo” data alla Belt and Road Inititative dall’European Institute for Asian Studies, proprio alla luce dell’ampliamento geografico e dell’evoluzione dei progetti: “La Bri progredisce attraverso un processo evolutivo, abbiamo già visto la sua metamorfosi da un'iniziativa focalizzata esclusivamente sull'infrastruttura verso una che ora include anche componenti industriali, tecnologici, culturali e ambientali. Allo stesso tempo, la Bri ha aumentato il suo ambito geografico spostando la sua attenzione dalla storica regione della Via della Seta a tutto il mondo. Anche i responsabili delle politiche cinesi stanno preparando per la Bri obiettivi sempre più ambiziosi; dallo sviluppo economico alla costruzione di una comunità di destino condiviso per tutta l'umanità. Di conseguenza, l'unica costante che la Bri ha mostrato è la sua propensione al cambiamento”. Quanto agli scopi la letteratura si è da tempo concentrata sulla risposta all'eccesso di produzione, sulla scalata nella catena del valore globale, sulla messa in sicurezza delle proprie frontiere e su quella delle vie di rifornimento energetico, senza dimenticare che i più accaniti avversari dell'ascesa cinese in Occidente la dipingono come nient'altro che un progetto di dominio geopolitico ordito dal Partito comunista cinese. La mia opinione è che – accanto a tutto questo – ci troviamo di fronte ad un'iniziativa complessa che ridisegna gli equilibri di potere economico e politico a livello globale, spostandone il centro in Oriente e, nello specifico, a Pechino. Una marcia complessa e complessiva accompagnata da nuove organizzazioni e istituzioni quali la Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), la Shanghai Cooperation Organization, i Brics e il Silk Road Fund. Di certo negli ultimi tempi le questioni di sicurezza trovano sempre più importanza.

Prosegui con l'intervista completa 

venerdì 29 giugno 2018

Primi passi lungo la penisola coreana


Gli impegni sottoscritti ad aprile nella Dichiarazione di Panmunjom dal presidente della Corea del Sud Moon Jae-in e dal leader nordcoreano Kim Jong Un iniziano a prendere concretezza sul piano dei collegamenti infrastrutturali lungo la penisola coreana.

Giovedì 28 giugno i due governi hanno concordato di approfondire la loro cooperazione economica spingendo prima di tutto nel miglioramento dei percorsi stradali, nello specifico la Route Donghae, lungo la costa orientale, e la Route Gyeongeui, sul lato occidentale. Quest'ultima è chiamata a collegare Seoul a Pyongyang passando attraverso la città di confine (è già simbolo di collaborazione) di Kaesong.

Nei giorni precedenti le due capitali avevano già concordato di procedere al collegamento delle loro reti ferroviarie, ad est come ad ovest, così da agganciarle a quella della Transiberiana e aprire una rotta logistica verso l'Europa.

Fonte: itrailnews.co.kr
Si tratta di primi sviluppi interessanti anche per il futuro asiatico della cinese Belt and Road Initiative che vedrebbe finalmente aprirsi un'area fino ad oggi rimasta ai margini come conseguenza delle tensioni politiche-militari. Inoltre potrebbe instaurarsi un nuovo clima di collaborazione, fondato su ampi spazi di collaborazione economica.

Così si è recentemente espresso Victor Teo, dell'Università di Hong Kong e ricercatore accademico presso il Weatherhead Centre for International Affairs dell'Università di Harvard: "La posizione geostrategica della Corea del Nord rende la sua cooperazione vitale per la BRI per due importanti aspetti. Grazie alla cooperazione della RPDC, gli sforzi della BRI cinese potrebbero essere armonizzati con la "Eurasia Initiative" (EAI) della Corea del Sud - e ciò fornirebbe la spinta per la Corea del Sud, la Corea del Nord e le province della Cina del nord-est per integrarsi ulteriormente dal punto di vista economico. L'arretratezza della Cina nord-orientale è stata in gran parte attribuita alla riluttanza della Corea del Nord a impegnarsi per le riforme economiche e i piani di integrazione regionale. Se la Corea del Nord è disponibile, la Corea del Sud e la Cina contribuirebbero a finanziare investimenti infrastrutturali nella RPDC e contribuirebbero alla costruzione di collegamenti ferroviari sull'ovest (Pusan-Seoul-Shinuju-Dandong) e orientale (Pusan-Wonsan-Chongjin-Tumangang-Khasan) lungo la penisola coreana. Inutile dire che ciò avrebbe un impatto sulla redditività della regione come centro manifatturiero con la manodopera nordcoreana, le fabbriche cinesi e la competenza sud coreana. Ciò consentirebbe di esportare prodotti utilizzando il porto di Rason in Giappone e altrove: ciò aiuterebbe davvero le tre province del nord-est e la RPDC. Il secondo aspetto potrebbe essere la connessione russa: possiamo vedere gli approvvigionamenti energetici russi raggiungere non solo la Cina, ma anche facilmente le due Coree, con possibilità di esportazione verso il Giappone".

martedì 5 giugno 2018

L'Italia e la Belt and Road: Trieste e Duisburg

Quella dell'Italia è una posizione strategica, lo si ribadisce continuamente: protesa nel Mediterraneo rappresenta l'anello di congiunzione della Belt and Road, tanto nella variante terreste quanto in quella marittima. In questo quadro le sue strutture portuali rappresentano veri e propri "gioielli" agli occhi di Pechino in qualità di porte di accesso al continente europeo.
Nel giugno del 2017 Trieste e la tedesca Duisburg hanno sottoscritto un accordo di "partnership strategica" proprio sulla nuova Via della seta. Firmato dal presidente dell'Autorità portuale di Trieste Zeno D'Agostino e da Erich Staake, presidente di Duisport, l'accordo apre a Duisburg - il più grande hub internazionale attivo in Europa e porta di accesso intermodale con collegamenti fluviali e ferroviari in ogni angolo del continente, dal Mar Baltico al Mediterraneo, ma anche alla Cina - un collegamento verso il Mediterraneo e il corridoio Europa/Turchia/Iran.
Secondo AdriaPorts "quasi 25 treni a settimana collegano Duisburg al nord della Cina, mentre Trieste è collegata alla via della seta marittima attraverso il canale di Suez. 
Con questo accordo, lo scalo della regione Friuli Venezia Giulia e il porto situato alla confluenza del Reno e della Ruhr (due dei principali fiumi navigabili in Europa) saranno in grado di aumentare il traffico ferroviario all'interno delle piattaforme logistiche secondo ad un progetto comune".

venerdì 1 giugno 2018

Intanto nella penisola arabica...

Dell'importanza dell'Oman lungo la nuova via della seta, faccio ampiamente riferimento nel mio libro.
Nei giorni scorsi tale importanza è stata formalizzata con la firma di un Memorandum d'Intesa con la Cina proprio sulla Belt and Road: Pechino è il più grande importatore di petrolio dell'Oman e molti sono gli investimenti cinesi presenti, tanto che l'ex villaggio di Duqm è destinato a diventare un importante hub portuale, all'interno di una zona economica speciale.

Pakistan: un primo grande passo per la Bri

E' stato aperto al traffico il primo tratto (33 km) dell'autostrada a sei corsie che, entro l'agosto del 2019, collegherà la città portuale di Karachi a Peshawar.
Costruita dalla cinese China State Construction Engineering e finanziata per l'85% da prestiti cinesi, rappresenta il principale progetto di infrastrutture di trasporto nell'ambito del Corridoio economico Cina-Pakistan, a sua volta asse fondamentale della Belt and Road Initiative.

Libro: "La Belt and Road Initiative. La nuova via della seta e la Cina globale"

Tutte le strade porteranno a Pechino? Aveva ragione Mao quando ammoniva che il “vento dell’Est” avrebbe prevalso su quello dell’Ovest? Potremmo rispondere positivamente se guardassimo al treno merci (chiamato proprio “East Wind”) che, proveniente dal gigantesco bazar di Yuwu, nel gennaio del 2017 ha raggiunto Londra al termine di un viaggio durato 16 giorni lungo un percorso di 7.500 miglia attraversando, prima di correre lungo il canale della Manica, Kazakistan, Russia, Bielorussia, Polonia, Germania, Belgio e Francia. Si tratta ormai di un dei tanti percorsi ferrati che collegano l’ex Celeste impero al Vecchio continente e che meglio di tutti rendono l’idea di cosa si cela dietro l’espressione “Nuova Via della seta”.

 Ufficializzato dal presidente dal presidente Xi Jinping (il “core leader” della quinta generazione di governo comunista) alla fine del 2013 prima durante una conferenza all’Università Nazarbaev di Astana in Kazakistan e poi al parlamento indonesiano a Giacarta, quello della Nuova Via della seta (“Belt and Road Initiative” - Bri ne è il diffuso acronimo) è certamente il progetto strategico più importante ideato dalla Cina popolare, tanto da essere considerato da taluni come il più ambizioso della storia o da altri, più prosaicamente, una sorta di piano Marshall in variante cinese per sviluppare infrastrutture in Asia (la Banca di sviluppo asiatica stima un bisogno di 26 miliardi di dollari in investimenti entro il 2032) e lungo tutta la massa continentale euroasiatica. E per questo guardato con sospetto e preoccupazione in Occidente, come una vera propria sfida egemonica destinata a riscrivere le regole (non solo economiche) globali e a modificare gli sviluppi del processo impetuoso della globalizzazione dando maggiore peso alle richieste e alle esigenze dei Paesi in via di sviluppo, ancora impegnati nella lotta contro la povertà.

Le strutture economiche e politiche per dare concretezza sono già operative o stanno compiendo i primi passi: sono quelle legate ai Brics, con relativa Banca per lo sviluppo, la Shanghai Cooperation Organization, così come la Asian Infrastructure and Investment Bank (AIIB) e lo specifico Fondo per la Via della seta, per non parlare della grandi banche statali cinesi che lo alimentano e della aziende di Stato sempre più in grado di tenere testa alla concorrenza globale su tutti i continenti. Per Pechino la “Belt and Road Initiative”, nel recuperare il nome dell’antico tragitto commerciale e culturale che a partire dal II secolo d.C. collegava la Cina al Mediterraneo e all’Africa, passando per l’Asia centrale e quello che oggi è il Medio Oriente, è legata a doppio filo alla realizzazione del “Sogno cinese”, vale a dire la restituzione al Paese del suo ruolo di potenza mondiale, lasciandosi definitivamente alle spalle il “secolo delle umiliazioni”. Scopo del libro è quello di analizzare origini (lontane e vicine), attualità e possibili sviluppi della New Silk Road, intrecciando il piano internazionale con quello interno di una Cina ancora impegnata in un percorso di riforme politiche ed economiche e che ormai rivendica il proprio ruolo di potenza globale; di affrontare le sfide, anche geopolitiche (il terrorismo, le tensioni in Asia, le minacce di guerra, il confronto con gli Stati Uniti), che possono rallentare o contrastare il suo sviluppo; infine di segnalare le opportunità che si aprono anche per l’Italia che si affaccia su un Mediterraneo ormai teatro della crescente presenza di Pechino.

IL LIBRO 
La Belt and Road Initiative. La nuova via della seta e la Cina globale.
Diego Angelo Bertozzi Imprimatur, 2018